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A cura di: Tommaso Tetro Non è maltempo. Se in poche ore cade l’equivalente della pioggia di sei mesi, non si può definire soltanto maltempo quello che è accaduto in Emilia Romagna. Di nuovo messa in ginocchio da un’alluvione, la seconda in quindici giorni. Con acqua e fango che hanno invaso strade e piazze, e hanno portato anche morti – insieme con danni ingenti a infrastrutture e agricoltura, oltre a una stima di 13mila sfollati – in una Regione che viene ritenuta quella con il più alto rischio idrogeologico. L’11% del territorio a rischio idrogeologico Secondo uno studio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) l’11% del territorio è vulnerabile, e in tutto sono state censite 80mila frane. Dietro l’Emilia Romagna – in base ai dati dell’Ispra – c’è la Lombardia. Cementificazione senza controllo e avanzare dei cambiamenti climatici, sono le principali cause. E a essere esposti al pericolo derivante da alluvioni e frane nella Regione ci sarebbero 1,6 milioni di cittadini. E’ evidente che questo tipo di fenomeni estremi sono ormai sempre più frequenti e intensi. E, a poco serve che il governo metterà a disposizione nuove risorse, aggiuntive rispetto a quelle di quindici giorni fa, nel corso del Consiglio dei ministri già programmato per il 23 maggio. Serve una presa di consapevolezza: “L’Italia è impreparata agli eventi meteo estremi – osserva il Wwf – siccità e alluvioni si alternano, con l’effetto di elevare esponenzialmente il rischio, amplificato da un territorio dove si continua a consumare suolo”. Sarebbe poi necessario un Piano di adattamento e mitigazione, che da anni è in elaborazione e ‘prossimo’ alla pubblicazione defintiva. Quelli che una volta erano “fenomeni unici e rari” – rileva il Wwf – oggi “si moltiplicano, addirittura a pochi giorni di distanza, e non solo in Italia. Non agire subito per affrontare la realtà climatica, purtroppo, aumenterà le conseguenze sulla sicurezza e il benessere delle comunità”. L’emergenza della gestione dell’acqua Un punto che merita di essere messo in evidenza è legato alla gestione dell’acqua, dal momento che la siccità paradossalmente è un problema con cui il Paese si trova a convivere e allo stesso modo lo è la sovrabbondanza. E come sappiamo, la pioggia sui terreni asciutti (aridi) non penetra ma scivola arrivando a provocare i drammi che ci troviamo a raccontare. Diventa quindi necessario mettere a punto un quadro di riferimento “per valutare gli investimenti idrici”, come viene illustrato dal mini-book di Fondazione Utilitatis ‘Acqua, come investire per affrontare il cambiamento climatico’. La siccità, insomma, non è “un’emergenza inaspettata” ma “un chiaro esempio delle sfide della gestione dell’acqua nel ventunesimo secolo: si tratta di una nuova normalità determinata dai cambiamenti climatici”. Per il Wwf bisogna superare la logica dell’emergenza: la situazione è infatti “in peggioramento come dimostrano i dati sul consumo di suolo” che viaggia al ritmo “di 2 metri quadrati al secondo e sfiora i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno”. Oggigiorno quindi “la gestione dell’acqua diventa un problema di analisi e gestione del rischio: i benefici della riduzione del rischio ottenuta da un intervento vengono messi a confronto con il costo marginale di tale intervento. L’analisi del rischio di eventi come la siccità o le inondazioni comporta il calcolo della probabilità e delle conseguenze dei rischi” rispetto a fare o a non fare un intervento di adattamento come per esempio investire in infrastrutture di approvvigionamento o di stoccaggio, in riduzione delle perdite, in promozione di un uso più efficiente dell’acqua. Ma, nella pianificazione attuale, entrano in gioco altre variabili da prendere in considerazione come le influenze antropiche sull’ambiente idrico, il clima, e il consumo di suolo. Per questo – spiega il documento di Utilitatis – “gli investimenti idrici devono ora essere valutati in un quadro mobile non stazionario”. In sostanza con i cambiamenti climatici, ed è quello che già risuona da tempo, non soltanto “fenomeni un tempo rarissimi sono molto più frequenti” ma eccedono anche “la capacità” di gestione “delle infrastrutture e delle istituzioni perché sono state progettate” per rispondere a condizioni diverse. E’ quindi “indispensabile definire il Piano di adattamento al cambiamento climatico – conclude il Wwf – dopo la consultazione chiusasi alcune settimane fa, e renderlo uno strumento efficace per operare le scelte necessarie”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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