La salvaguardia dell’Oceano al centro dell’agenda climatica

Si celebra l’8 giugno la giornata mondiale degli Oceani, organizzata quest’anno sul tema “Awaken New Depths” – Risveglia nuove profondità. L’obiettivo è celebrarne la ricchezza e stimolare azioni per proteggere le sue acque, fondamentali per la nostra sopravvivenza

8 giugno, giornata mondiale degli Oceani

Si celebra oggi la Giornata mondiale degli Oceani, istituita dalle nazioni Unite nel 1992 con l’obiettivo di salvaguardare e proteggere gli oceani che, ricorda l’ONU, coprono il 71% della superficie del nostro pianeta, ma solo una piccola parte delle loro acque, il 25% circa, è stata esplorata. Ma non solo, gli Oceani producono il 50% dell’ossigeno, assorbono circa un quarto della CO₂ emessa dalle attività umane e sono un habitat importante per la biodiversità.

Gli oceani svolgono inoltre un ruolo cruciale nella termoregolazione del clima globale grazie al sistema di correnti oceaniche noto come “Nastro Trasportatore” o “Circolazione Termoalina”.

Il tema scelto per il 2023 è “Awaken New Depths” – Risveglia nuove profondità”. Le Nazioni Unite intendono lavorare con decisori politici, scienziati, imprese, rappresentanti della società civile, comunità e giovani attivisti per mettere l’oceano in cima alle priorità dell’agenda climatica.

Dal 1970 ad oggi la temperatura degli oceani ha continuato ad aumentare e, secondo gli ultimi dati del WWF, tra il 2011 e il 2020 l’aumento medio, rispetto al periodo 1850-1900, è stato di 0,88°C.

L’allarme del WWF per la salvaguardia del Mediterraneo

In occasione della Giornata degli Oceani 2024 il WWF, con il nuovo Report “Il respiro degli oceani“, lancia un allarme preoccupante: il Mediterraneo sta diventando sempre più caldo, con temperature medie che hanno raggiunto il record di 21,1°C nel 2023. Un fenomeno di tropicalizzazione che sta provocando una proliferazione di meduse e specie aliene, mentre la Posidonia – le cui praterie sequestrano circa 5,7 milioni di tonnellate di CO₂ ogni anno – e altre specie locali stanno scomparendo, mettendo a rischio la biodiversità marina.

Il riscaldamento e l’aumento della salinità del mediterraneo hanno impattato in maniera significativa sugli ecosistemi marini, con conseguenze gravi per settori economici legati al mare, come la pesca e il turismo.

La situazione è resa ancora più critica dal fatto che solo l’8,33% del Mediterraneo è attualmente protetto, siamo davvero lontani dall’obiettivo del 30% entro il 2030.

Sono 6 i casi segnalati dal WWF che mostrano in particolare gli effetti devastanti del cambiamento climatico nel Mediterraneo:

  • la tropicalizzazione del Mediterraneo orientale,
  • l’aumento delle specie aliene invasive,
  • la proliferazione di meduse,
  • la perdita delle praterie di Posidonia oceanica,
  • la scomparsa delle gorgonie,
  • la mortalità di massa della Pinna nobilis.

Il WWF indica nel report diverse soluzioni concrete per contrastare gli impatti del cambiamento climatico. Tra queste, l’abbattimento delle emissioni climalteranti e la transizione energetica sono prioritarie. È inoltre indispensabile proteggere il Mediterraneo attraverso l’istituzione di una rete efficace di Aree Marine Protette (AMP) e altre misure di protezione spaziale, puntando a proteggere almeno il 30% del suo spazio marittimo entro il 2030.

La protezione dei corridoi ecologici vitali per le specie migratorie, lo sviluppo di una pesca sostenibile e una pianificazione marittima rispettosa dell’ecosistema sono altre azioni indispensabili a garantire la salvaguardia degli oceani e del nostro Pianeta.

L’effetto dello sbiancamento dei coralli sul futuro degli oceani

2 importanti studi hanno recentemente confermato che le barriere coralline, importanti per la sopravvivenza di molte specie marine (fino al 25%), stanno sbiancando in massa per la quarta volta in 25 anni.

L'effetto dello sbiancamento dei coralli per il futuro degli oceani

Secondo gli scienziati l’aumento della temperatura degli oceani è responsabile dell’ultimo evento di sbiancamento, che si è esteso da Panama all’Australia e sta peggiorando. Tra le aree più colpite c’è la Grande Barriera Corallina dove, secondo un rapporto del governo australiano, quasi l’80% degli affioramenti di corallo si è sbiancato. Altre situazioni ugualmente gravi si stanno verificando nel Mar dei Caraibi, nell’Atlantico meridionale, nel Mar Rosso, nel Golfo del Messico, nell’Oceano Indiano occidentale e nelle acque dell’Asia orientale.

I coralli, che sono tra gli ecosistemi più vulnerabili del pianeta ai cambiamenti climatici, potrebbero praticamente scomparire entro la fine di questo secolo.

Leticia Carvalho, responsabile del Marine and Freshwater Branch del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) sottolinea che la perdita dei coralli è una vera tragedia dal punto di vista della biodiversità e dell’economia “per centinaia di milioni di persone nel mondo che dipendono dalla pesca costiera”.

Le barriere coralline che un tempo erano piene di vita sono state ridotte a ciò che Letizia Carvalho dell’UNEP ha definito “cimiteri”, pieni di carcasse grigie e bianche di coralli morti e morenti. “Questa crisi non è finita, potremmo andare di male in peggio se non agiamo subito per ridurre le emissioni di gas serra che determinano il cambiamento climatico”.

I ripetuti sbiancamenti hanno contribuito a una tendenza inequivocabile: i coralli stanno scomparendo. Tra il 2009 e il 2018, secondo uno studio del 2020 del Global Coral Reef, il mondo ha perso il 14% della sua copertura corallina.

Le prospettive a lungo termine per la maggior parte dei coralli d’acqua calda sono pessime. Se anche il mondo riuscisse a rispettare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici – limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C – si prevede che il 70-90% dei coralli della barriera corallina morirà. Se le temperature aumenteranno di 2°C, la percentuale salirà al 99%.

Un materiale innovativo per la salvaguardia delle barriere coralline

Proprio per il recupero delle barriere coralline compromesse dai cambiamenti climatici, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Istituto Italiano di Tecnologia, in collaborazione con l’Acquario di Genova, hanno ideato un nuovo materiale biodegradabile e indurente, progettato per interventi sottomarini di rigenerazione delle barriere. Nel numero di giugno 2024 della rivista Advanced Sustainable Systems è stato dedicato spazio al nuovo materiale.

Per recuperare le barriere coralline si fanno crescere nuove colonie di corallo in ambienti protetti, spesso vivai sommersi noti come “nurseries”, per poi trasferirle nelle sezioni di danneggiate. In questo processo si utilizzano materiali che permettano l’adesione del corallo alle superfici sottomarine garantendo ottimi tempi di applicazione ottimali. I prodotti utilizzati fino a oggi spesso derivano dall’industria petrolifera (non sono dunque sostenibili) e il loro indurimento può richiedere tempi lunghi.

Un materiale ecocompatibile innovativo per il ripristino delle barriere coralline
Il nuovo materiale è stato testato in un esperimento alle Maldive presso il MaRHE Center (Marine Research and Higher Education Center) e, durante il periodo di osservazione, i coralli sono cresciuti senza mostrare alcun segno di stress.

Il nuovo materiale, invece, è biodegradabile e non inquinante poiché composto da due componenti di origine vegetale e il tempo di indurimento richiesto è di soli 20-25 minuti, il che aumenta le possibilità di successo del trapianto.


7/6/2023

Gli oceani sfruttati e sempre più caldi

I recenti dati pubblicati dal Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus per conto della Commissione europea, che registrano i cambiamenti della temperatura superficiale dell’aria, nella copertura del ghiaccio marino e nelle variabili idrologiche, ci dicono che gli oceani sono sempre più caldi. In particolare Samantha Burgess, Vicedirettore del Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus sottolinea che “maggio 2023 è stato il secondo più caldo a livello globale visto che le condizioni di El Niño continuano a manifestarsi nel Pacifico equatoriale”.

Le temperature dell’Oceano stanno toccando livelli record e “i nostri dati indicano che la temperatura media di tutti i mari privi di ghiacci nel maggio 2023 è stata più alta di qualsiasi altro maggio”. Nel 2023 infatti il ghiaccio marino antartico ha raggiunto un valore mensile minimo, del  17% inferiore alla media.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres nel suo messaggio per celebrare la Giornata mondiale degli oceani, ha chiesto una maggiore azione per la protezione degli Oceani che sono il “più grande serbatoio di biodiversità del nostro pianeta e sostengono intere comunità: in tutto il mondo, più di un miliardo di persone si affidano al pesce come principale fonte di proteine”. Eppure il capo delle Nazioni Unite ha ricordato che il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta riscaldando il pianeta, sconvolgendo i modelli meteorologici e le correnti oceaniche e alterando gli ecosistemi marini, le specie che vi abitano e la biodiversità.

Guterres ha poi ricordato che lo scorso dicembre i Paesi hanno adottato un ambizioso obiettivo globale per la conservazione e gestione sostenibile del 30% della terraferma e delle aree marine e costiere entro la fine del decennio.

Attualmente sono in corso i negoziati per un trattato globale e legalmente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica e a marzo i Paesi hanno approvato lo storico “Trattato d’alto mare” sulla conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale.

Il “Mare fuori” dalla costa da salvaguardare

Il “mare fuori”, che occupa i territori oltre le 12 miglia dalla costa, fondamentale per la vita marina e per la salvaguardia del Pianeta, è sempre più sfruttato. Si tratta di un ambiente per lo più sconosciuto, ricchissimo di vita, popolato da specie da salvaguardare e reso unico da paesaggi incredibili, montagne sottomarine (circa 300 in tutto il Mediterraneo) e oltre 500 canyon sottomarini. Dal Report del WWF “Sos Mare fuori. Minacce e soluzioni per la tutela del mare aperto” emerge che per due terzi (66,8%) il mare aperto italiano è vittima di traffico marittimo, pesca insostenibile, inquinamento. Con impatti aggravati dal cambiamento climatico che colpisce tutto il Mediterraneo, provocando acidificazione, deossigenazione, innalzamento del livello del mare, aumento della frequenza e intensità dei fenomeni estremi. E’ necessario intervenire a salvaguardia della sua biodiversità e la gestione sostenibile delle sue risorse, considerando che “ad oggi solo il 4,2% dell’intero spazio marittimo italiano è protetto”.

Sono 10 le aree di mare aperto da tutelare con priorità secondo il WWF, che rappresentano il 30% dello spazio marittimo: Canale di Sicilia e Sud Adriatico, due macro-aree già riconosciute come Aree Ecologicamente e Biologicamente Significative dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, ma anche Golfo di Taranto, Arcipelago Pontino, Canyon di Castelsardo, Canyon di Caprera, Arcipelago campano, Arcipelago toscano, Arcipelago eoliano e Santuario Pelagos.

Le aree prioritarie per la tutela del mare aperto del Mediterraneo

Il WWF ci ricorda inoltre che il Mediterraneo, soprattutto nell’ambiente pelagico, è la sesta grande zona di accumulo dei rifiuti plastici al mondo a causa dell’accumulo dei rifiuti portati dalle correnti, delle reti abbandonate, del traffico petrolifero e delle attività di estrazione al largo: “ogni anno tra le 50.000-100.000 tonnellate di prodotti petroliferi finiscono in mare “solo” per gli sversamenti illegali”.

La plastica minaccia la sopravvivenza del mar Mediterraneo
credit @Massimo Bernardi

In occasione del lancio del report l’associazione ambientalista ha inaugurato la 7a edizione della Campagna WWF GenerAzione Mare, che proseguirà fino a settembre, coinvolgendo cittadini, istituzioni, pescatori e società civile in centinaia di iniziative, tra cui la pulizia di spiagge e fondali, la salvaguardia dei luoghi di deposizione delle tartarughe e corsi di formazione per guide whale watcher.

L’obiettivo del WWF è proteggere e tutelare i servizi ecosistemici del Mediterraneo che “generano, tra risorse ed attività, un valore annuo di 450 miliardi di dollari: uno dei mari economicamente più importanti al mondo”.


Articolo aggiornato – Prima pubblicazione 2023

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