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Indice degli argomenti Toggle Professor Amaducci, come si possono conciliare agricoltura e fotovoltaico?L’agrivoltaico può essere un alleato per la resilienza climatica?L’agrivoltaico come si concilia con gli aspetti dell’agricoltura 4.0?In che modo l’agrivoltaico si presta ad avvicinare l’agricoltura alla città? Conciliare agricoltura e fotovoltaico è un’esigenza prioritaria per consentire alle aziende di tutelare la produzione agricola e far fronte ai costi energetici, sempre più alti, producendo parte del fabbisogno. L’agrivoltaico può contribuire alla transizione energetica. È un’opportunità che trova misure di sostegno, anche nel PNRR. «Il modo più adatto a conciliare il fotovoltaico in agricoltura è l’agrivoltaico, che per definizione sottende l’uso di suolo agricolo in un ruolo duplice: la produzione di energia fotovoltaica con la disposizione di pannelli secondo diverse architetture, e l’attività agricola», afferma Stefano Amaducci, professore ordinario presso il Dipartimento di Produzioni Vegetali Sostenibili dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che da alcuni anni si dedica di fare ricerca nell’ambito dell’agrivoltaico. Coordina, inoltre, il gruppo di ricerca Field Crops Group il cui obiettivo è sviluppare e promuovere soluzioni sostenibili per agroecosistemi sani. È uno studioso di fama mondiale: lo conferma la presenza del suo nome nella “World’s Top 2% Scientists”, la classifica degli scienziati più citati e autorevoli al mondo, pubblicata dalla Stanford University. Professor Amaducci, come si possono conciliare agricoltura e fotovoltaico? «Nell’interpretazione oggi vigente in Italia sull’agrivoltaico credo vada valorizzata la definizione secondo cui l’attività agricola è prioritaria. Tale finalità è ben presente nello spirito dell’agrivoltaico giapponese, primo Paese al mondo ad averlo sviluppato, come pure nella normativa tedesca, che è stata implementata recentemente anche dalla Commissione Europea. Il ruolo prioritario dell’attività agricola deve essere evidenziato: stiamo parlando di suoli agricoli in cui vengono installati dei pannelli solari. Il rischio, altrimenti è che la coltivazione venga subordinata alla produzione energetica. Se la priorità invece rimane l’attività agricola, occorre garantirne la continuità con dei quantitativi noti e non genericamente, come invece si nota nelle linee guida. I giapponesi, i tedeschi e i francesi hanno voluto porre un limite al calo della produzione agricola. Quindi, si ammette che la presenza dei pannelli con ombreggiamento possa ridurre la produzione agricola, però si parla di agrivoltaico se la produzione agricola non scende sotto un certo livello: il 20% in Giappone, il 10% in Francia, il 34% in Germania. Questo è ciò che manca oggi in Italia». L’agrivoltaico può essere un alleato per la resilienza climatica? «Questo è un principio applicato in Francia dove è stato presentato uno schema che intende valorizzare il principio secondo cui l’agrivoltaico viene considerato anche uno strumento di miglioramento fondiario in termini di capacità produttiva e di resilienza ai cambiamenti climatici. L’ombreggiamento prodotto dai moduli fotovoltaici può proteggere le colture non solo da eventi meteorici avversi, ma anche dal calore estremo e dall’azione diretta del sole che può danneggiare le colture. Per questo serve un impianto flessibile, che permetta anche una modulazione degli ombreggiamenti attraverso tecnologie su assi, a inseguimento solare oppure porre i pannelli con una determinata inclinazione tale da favorire un irraggiamento solare adatto alle colture. Tutto questo deve essere adeguatamente supportato dalla ricerca per ottimizzare la capacità dell’agrivoltaico di migliorare o proteggere le colture. L’ombreggiamento dinamico prodotto ha delle influenze sulle colture che vanno studiate dalla limitata». L’agrivoltaico come si concilia con gli aspetti dell’agricoltura 4.0? «Oggi è prassi comune per gli agronomi utilizzare gli strumenti informatici soprattutto le informazioni da remoto, dai droni e soprattutto dei satelliti per attuare l’agricoltura di precisione. Per contare sui big data, sulle informazioni utili sulle colture, algoritmi di AI e machine learning permettono di fornire ai sistemi tecnologici utili informazioni per servizi mirati, dall’irrigazione di precisione alla concimazione fino ai trattamenti fitosanitari. L’agrivoltaico si può avvalere meno di questi strumenti da remoto (satelliti o droni) perché c’è l’interferenza del pannello fotovoltaico. Tuttavia si può avvalere di sensori prossimali, molto utili in tal senso. La realizzazione ideale di un impianto agrovoltaico deve essere pensata come un impianto produttivo avanzato in cui il controllo del sistema fotovoltaico sia funzionale non solo alla massimizzazione della produzione energetica ma alla sinergia ottimale con l’attività agricola, concetto chiave dell’agrovoltaico, capace di massimizzare i benefici tra agricoltura e fotovoltaico. Il rapporto tra colture e pannelli fotovoltaici può essere benefico anche per i secondi, in quanto può portare a incrementi di produzione elettrica, se l’attività evapotraspirativa delle colture riduce la temperatura dell’aria in prossimità dei pannelli (effetto cooling), se la presenza delle colture riduce la presenza di polvere (riduzione del dusting) e se la copertura vegetale permette di aumentare l’albedo e quindi la produzione di elettricità da pannelli bifacciali». Oltre a conciliare la relazione tra agricoltura e fotovoltaico, l’agrovoltaico si presta anche ad avvicinare l’agricoltura alla città. In che modo può essere praticabile? «Sarebbe necessario sviluppare il più possibile impianti fotovoltaici soprattutto a terra nelle aree marginali. Per quanto riguarda la zona periurbana non è necessariamente marginale perché spesso queste sono fertili. Certo, attorno alle città, queste aree sono spesso spazi interstiziali, difficili da coltivare e difficilmente accessibili anche da mezzi agricoli di diverso tipo. In questi ambienti si può sviluppare un tipo di agrivoltaico anche con una valenza sociale. Nella facoltà di Agraria, a Piacenza, stiamo lavorando per realizzare un impianto con tali caratteristiche, sfruttando spazi interstiziali, inutilizzati. È un ottimo esempio di come queste aree potrebbero costituire spazi ideali per l’agricoltura. Innanzitutto le aree periurbane sono prossime all’utente finale e questo è un vantaggio da sfruttare per realizzare impianti utili per avviare comunità energetiche, con impianti fotovoltaici di piccola scala (sotto 1 MW) che permettano all’ambiente periurbano di produrre energia vicina al consumatore; gli spazi sottostanti potrebbero essere utilizzati come orti sociali. Molte delle colture coltivate negli orti sono avvantaggiate dalla presenza di ombreggiamento. Inoltre si potrebbero favorire le condizioni per lo sviluppo di natural based solution». Si parla spesso e volentieri di smart city e di città resilienti. L’agrivoltaico potrebbe essere una soluzione capace di accomunare le finalità tecnologiche e ambientali? «Certamente. Proprio la valorizzazione del verde periurbano può essere una chiave di lettura possibile. Un esempio è Phoenix, città USA dove è stata avanzata la proposta di realizzare una cintura di impianti agrivoltaici all’interno della Phoenix Metropolitan Statistical Area (MSA) con l’obiettivo di generare energia da rinnovabili nei terreni agricoli utilizzando sistemi fotovoltaici, riducendo così l’impegno del suolo e preservando anche il terreno agricolo. L’agrivoltaico, anche grazie all’impiego dei dati e delle tecnologie di AI, può contribuire a generare opportunità su misura, lavorando su nuovi KPI, come il Land Equivalent Ratio o l’ottimizzazione delle risorse idriche. Essi possono caratterizzare meglio l’agrivoltaico e tutelare la sua vocazione agricola ed energetica, promuovendo la sostenibilità ambientale ed economica». Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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