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Indice degli argomenti Toggle Gli obiettivi posti dal PNIEC sull’eolico italiano, onshore e offshore, sono fattibili?A proposito del decreto “aree idonee” quali sono gli elementi limitanti o negativi?Quanto pesa il fattore Nimby sullo sviluppo dell’eolico italiano?Il PNRR per l’eolico che leva rappresenta?Quali sono i nodi più urgenti da sciogliere per sbloccare la potenzialità dell’eolico italiano?A proposito di eolico offshore, qual è lo scenario attuale e previsto?Quanto ci vorrà per vedere un parco eolico offshore flottante?Veniamo al contesto europeo in confronto all’eolico italiano. Che momento sta vivendo, specie dopo l’invasione dell’Ucraina?Posta questa situazione, cosa richiede l’eolico italiano? Come sta l’eolico italiano? Il nuovo PNIEC, di cui si attende risposta da Bruxelles, prevede che al 2030 siano installati complessivamente circa 131 GW di impianti a fonti rinnovabili, di cui 28 GW circa dall’eolico. Gli obiettivi di crescita tengono conto che l’“energia dal vento” è pari a 11,2 GW (dati 2021). Sulla strada verso questi obiettivi ci sono diversi ostacoli da considerare, sia per lo sviluppo dell’eolico onshore sia per l’eolico offshore. Limiti e potenzialità sono ben conosciuti da Simone Togni, che proprio pochi giorni fa è stato rieletto all’unanimità presidente ANEV dal Consiglio direttivo. «Il rinnovo delle cariche per il prossimo triennio giunge in un momento in cui l’associazione conferma di godere un buono stato di salute. Siamo giunti oggi a 111 aziende associate: l’eolico italiano, quindi, vede in ANEV un punto di riferimento importante. La responsabilità che ci deriva da questo sostegno accresciuto ci spinge a cercare di fare bene, anzi meglio, anche nei prossimi anni». Lo abbiamo già intervistato nel 2021, ancora in emergenza COVID. Oggi ci parla delle prospettive del settore e delle sue criticità, considerando i target da raggiungere. Presidente Togni, partiamo dal PNIEC: gli obiettivi posti sull’eolico italiano sono fattibili? In particolare sull’eolico offshore, che dovrà passare da 300 a 2100 MW? Partiamo dall’eolico offshore. Gli obiettivi del PNIEC li riteniamo tutt’altro che ambiziosi. Noi prevediamo che al 2030 si possa arrivare almeno a 4/5 GW, quindi auspichiamo che il valore dichiarato possa essere corretto in fase successiva. Viceversa per quanto riguarda l’eolico onshore, l’obiettivo fissato ci sembra assolutamente adeguato ai potenziali di questa tecnologia e anche ai suoi benefici. Ora ci aspettiamo un cambio di prospettiva. Con i Governi precedenti è sempre accaduto che, a fronte di obiettivi importanti, abbiano sempre assicurato l’intenzione di aumentare i target di medio-lungo periodo, salvo poi non fornire, già nel breve periodo, gli strumenti adatti per raggiungerli. Il nostro timore è che possa accadere di nuovo. Quindi, a fronte di obiettivi importanti e condivisibili, ci auguriamo che vengano resi disponibili quegli elementi di semplificazione tali da consentirne il raggiungimento. Mi riferisco alla riduzione dei tempi autorizzativi così come penso alla bozza, inadeguata, del “decreto aree idonee” che di fatto impedisce la realizzazione di impianti eolici. A proposito del decreto “aree idonee” quali sono gli elementi limitanti o negativi? Innanzitutto, mi pare di ravvisare una mancanza di conoscenza profonda della tecnologia eolica nella struttura del decreto, in cui si ravvisano due questioni che lasciano perplessi. La prima è l’indicazione di un’area di rispetto alle aree di vincolo che individua la distanza tra il perimetro delle aree dei beni sottoposti a tutela e gli impianti eolici di ben 3 km. Come abbiamo avuto modo di segnalare in una nota, nonostante le ripetute segnalazioni, ci si sarebbe auspicato che tale limite potesse essere equiparato a quello previsto per il fotovoltaico. Invece il mantenimento di tale distanza impedirà l’individuazione di aree idonee in quantità sufficiente a realizzare i numeri contenuti nell’obiettivo settoriale, in considerazione della conformazione geografica e delle caratteristiche territoriali della nostra Penisola. Questo perché un’area di vincolo di tre chilometri, per chi conosce le mappe vincolistiche del nostro Paese, rendono di fatto non applicabili le aree idonee per gli impianti eolici, che si estendono su superfici di alcuni chilometri, anche se poi occupano una superficie territoriale molto contenuta. Se il calcolo si fa dalla distanza esterna dall’ultimo aerogeneratore, trovare delle zone che abbiano più di tre chilometri di fascia libera da vincoli non ha senso. Soprattutto si sarebbe dovuto discernere rispetto ai vincoli: da una parte mantenere quelli di tipo paesaggistico per i quali può avere senso mantenere questa fascia di rispetto; dall’altra considerare che vi sono anche aree in cui questo vincolo non ha una logica. Detto questo, amareggia la differenza di trattamento con altre fonti rinnovabili per le quali appunto le fasce di rispetto sono state ridotte a 500 metri, ovvero sei volte meno rispetto all’eolico. Il secondo elemento critico, più volte segnalato, riguarda il fatto che si prende come elemento per l’individuazione delle aree idonee la ventosità delle aree sulla base di strumenti inadeguati a tale scopo. Si fa riferimento infatti, alle mappe del vento che sono un interessante strumento indicativo della ventosità su macro aree, ma non adeguato a calcolare una produttività specifica di un impianto eolico. C’è poi un elemento incomprensibile, tecnicamente parlando: si demanda al calcolo delle ore equivalenti (2250 ore minime per gli impianti eolici – e solo per essi –, denotando ulteriormente una discriminazione incomprensibile rispetto alle altre fonti rinnovabili), basandosi su uno strumento, peraltro ottimo come quello della piattaforma RSE, pensato per un altro obiettivo e pertanto non in grado di calcolare l’elemento di producibilità puntuale di un singolo parco eolico che prevede un layout particolare. Inoltre, la producibilità di un parco eolico cambia a seconda degli aerogeneratori installati. Quanto pesa il fattore Nimby sullo sviluppo dell’eolico italiano? Non ha alcun impatto. Detto che ogni iniziativa per realizzare qualsiasi infrastruttura raccoglie alcuni pareri contrari, in termini di sindrome Nimby gli impianti eolici registrano il più basso impatto di qualsiasi infrastruttura esistente, secondo svariati sondaggi. Mediamente l’opposizione agli impianti eolici si aggira intorno al 18-20% di contrarietà. Spesso si confonde una piccola minoranza contraria con una opposizione complessiva alle iniziative, senza considerare la stragrande maggioranza dei favorevoli. Mediaticamente parlando, fa più effetto mettere in evidenza una sparuta minoranza che non un largo consenso. Detto questo, non ho notizia di un impianto sia stato vittima di un’opposizione tale da non poterlo realizzare o bloccare. Il PNRR per l’eolico che leva rappresenta? Nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza non è previsto nulla per l’eolico italiano. In effetti, non ha bisogno di soldi perché è una fonte energetica che consente di coniugare produzione elettrica rinnovabile, riduzione dei costi della bolletta elettrica, lavoro locale e sviluppo dell’industria nazionale. L’eolico riesce a produrre energia a un costo più basso del gas, del petrolio e del nucleare. L’unica cosa che abbiamo richiesto è di investire fondi dl PNRR per assumere personale competente all’interno delle pubbliche amministrazioni, a partire dai ministeri che stanno faticando tantissimo per valutare i progetti FER. Giusto per fare un confronto col Ministero tedesco per l’energia conta su un numero di personale superiore di 30 volte a quello italiano. Nel momento in cui non c’è sufficiente personale, si deve richiedere pareri all’esterno, con il rischio di indebite richieste da comparti industriali. Quali sono i nodi più urgenti da sciogliere per sbloccare la potenzialità dell’eolico italiano? Al di là di tutto, serve coerenza. Le aziende dell’eolico lavorano duramente perché il governo ha indicato a Bruxelles come obiettivo vincolante per il nostro Paese di triplicare le attuali potenzialità dell’eolico nel giro dei prossimi sette anni. Per questo le imprese dell’eolico italiano spendono soldi privati per raggiungere gli obiettivi al 2030. Dato che il Governo ha chiesto esplicitamente di raggiungere determinati obiettivi, la coerenza dovrebbe tradursi nel mettere in atto qualsiasi strumento di semplificazione utile a consentire di raggiungere questi obiettivi. Ritornando alle aree idonee, esse devono essere sufficienti (e non limitanti) a raggiungere i GW richiesti dall’eolico. Da qui si deve partire. A proposito di eolico offshore, qual è lo scenario attuale e previsto? L’eolico offshore ha un potenziale significativo dal punto di visto dello sviluppo tecnologico in quanto è un’applicazione marina di una tecnologia consolidata (onshore). Purtroppo l’applicazione marina bottom-fixed dell’eolico non ha possibilità di sviluppo significative nel Mediterraneo, a causa delle profondità del mare, già a pochi metri dalla costa, e al necessario rispetto alla biodiversità marina, in particolare per la tutela della posidonia, che cresce tra i 30 e i 60 metri di profondità. Pertanto, lo sviluppo dell’eolico offshore nel nostro Paese passa dall’applicazione di soluzioni flottanti che consentiranno agli impianti eolici di essere realizzati in profondità marine importanti e a debita distanza dalla costa. Parliamo di macchine alte 250 metri che devono raggiungere una maturità tecnologica tale da consentire una industrializzazione adeguata. A oggi vi sono dei modelli e progetti sperimentali che stanno dando ottimi risultati: quindi, ci aspettiamo a breve un significativo salto tecnologico. Ciò è un punto estremamente importante perché consentirà da un lato di sviluppare e realizzare grandi progetti anche nel Mediterraneo, ma soprattutto attiverà un mercato mondiale potenzialmente notevole. Su questo l’Italia è capofila, sta portando avanti progetti importanti. Quanto ci vorrà per vedere un parco eolico offshore flottante? Consideriamo che oggi le tempistiche di realizzazione di un parco eolico variano dai 6 agli 8 anni, tra iter autorizzativo e costruttivo. Gli impianti eolici offshore di nuova generazione potrebbero contare su tempistiche realizzative più strette, data l’importante attenzione posta dal Governo precedente e attuale, oltre al consenso del comparto industriale internazionale. Tuttavia, questi impianti potranno fornire energia elettrica al nostro Paese attorno e dopo il 2030, quindi saranno utili nell’ottenimento degli obiettivi da raggiungere più avanti. Veniamo al contesto europeo in confronto all’eolico italiano. Che momento sta vivendo, specie dopo l’invasione dell’Ucraina? Pare che le installazioni di energia eolica onshore della Germania, uno dei Paesi più importanti al mondo per potenza eolica, sebbene aumentate nella prima metà del 2023, siano ancora troppo contenute per raggiungere gli obiettivi al 2030… L’esempio della Germania mi permette di ricordare il motivo per cui è rallentata l’installazione di impianti eolici negli ultimi due anni e mezzo. Come molti altri settori, quello eolico ha subito un incremento di costi sensibile: pari al 46% della tecnologia. A fronte di questo non è stata adeguata la tariffa riconosciuta per gli impianti eolici, pari a 65 euro al MWh, che fino a qualche anno fa era sufficiente a consentire il ritorno degli investimenti con un costo della tecnologia di circa 800mila euro per MW di potenza, ai quali si dovevano aggiungere poi i costi dello sviluppo e di realizzazione, per raggiungere un valore intorno a 1,1 milioni di euro a MW. Oggi questa tariffa è insufficiente: solo le macchine costano di base circa 1,1 milioni di euro/MW e l’impianto finito costa 1,3/1,4 milioni di euro/MW. In Germania, proprio a fronte di questo aumento dei costi della tecnologia, lo scorso anno è stata adeguata la tariffa riconosciuta a 85 €/MWh. A ciò si aggiunge il fatto che nel Paese tedesco i costi di sviluppo sono molto più bassi di quelli dell’eolico italiano dati i tempi molto più brevi e i costi che, in Germania, sono a carico del sistema e dell’operatore. Quindi quel valore potrebbe essere raffrontato a 95€/MWh per l’Italia, dove invece le cifre in ballo sono rimaste quelle di prima, comportando uno stallo delle nuove iniziative. Ricordo, inoltre, che nel frattempo il PUN nel mercato elettrico è arrivato anche a toccare i 600 euro/MWh e oggi, stabilizzato, è sui 120€/MWh. Il costo lievitato della tecnologia di fatto ha bloccato gli investimenti e ha creato le condizioni per aggravi di costi dell’energia elettrica, a detrimento dei costi della bolletta. Posta questa situazione, cosa richiede l’eolico italiano? Come rappresentanti del settore eolico italiano abbiamo richiesto e da poco ottenuto l’adeguamento al costo dell’inflazione del già citato valore, attualmente di 65€/MWh. È stato approvato l’adeguamento, ma solo per i nuovi impianti disponibili sul mercato. Noi lo avevamo richiesto anche per i vincitori di asta, non ancora entrati in esercizio perché bloccati dal già citato aumento dei costi della tecnologia (questa settimana si saprà di più dopo che il DM Rigassificatori diverrà legge, con la fiducia al Senato). Lascia amareggiati il fatto che ciò che siamo riusciti a ottenere solo marginalmente e in maniera parziale è quanto hanno ottenuto gli aggiudicatari dei fondi del PNRR, per i quali già l’anno scorso è stato riconosciuto l’adeguamento dell’inflazione per i costi delle materie prime. Ancora una volta, quindi, notiamo una disparità di trattamento che penalizza le rinnovabili e l’eolico in particolare. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento
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