Tecnologie per la carbon capture: ecco chi lavora alla cattura della CO2

La necessità di ridurre le emissioni di CO2 spinge a cercare soluzioni. Così si stanno facendo spazio soluzioni tecnologiche per la carbon capture da parte di startup, tra cui anche una italiana

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Tecnologie per la carbon capture: ecco chi lavora alla cattura della CO2

Le tecnologie per la carbon capture potranno contribuire davvero alla cattura della CO2? In questo momento è solo una speranza, dato che a oggi sono solo 40 le strutture commerciali già operative e in grado di applicare la carbon capture, use and storage (CCUS), ovvero la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio ai processi industriali, alla trasformazione del carburante e alla produzione di energia, ricorda IEA.

Tuttavia le cose potrebbero cambiare: secondo la stessa Agenzia internazionale dell’energia, si contano più di 500 progetti CCUS in varie fasi di sviluppo a vari livelli. Segnala che “da gennaio 2022, gli sviluppatori dei progetti hanno annunciato l’ambizione di rendere operativi circa 50 nuovi impianti di cattura entro il 2030, catturando circa 125 Mt di CO2 all’anno”.

Se, da una parte, può essere una buona notizia, dall’altra va detto che se anche riuscissero a entrare tutte in funzione, l’implementazione di queste soluzioni rimarrebbe al di sotto di circa un terzo a circa 1,2 Gt di anidride carbonica l’anno richieste nello scenario Net Zero Emissions entro il 2050.

Nel frattempo le emissioni climalteranti, di cui l’anidride carbonica fa pienamente parte, hanno continuato a crescere: un recente studio del JRC rileva che nel 2022 hanno raggiunto la cifra record di 53,8 Gt di CO2 equivalente, in aumento del 1,4% rispetto al 2021. Conta poco il fatto che l’Unione Europea abbia ottenuto la riduzione percentuale più significativa delle emissioni di gas serra dal 1990.

Strategie globali per la cattura della CO2

Per ridurre questo carico sempre più ingente occorre lavorare su più fronti, puntando anche sulla tecnologia e sostenendone lo sviluppo. È quanto stanno facendo gli Stati Uniti, il cui Dipartimento dell’Energia ha annunciato, quest’estate, che stanzierà 1,2 miliardi di dollari per sviluppare hub regionali per la cattura diretta dell’aria (DAC) in grado di assorbire e immagazzinare almeno 1 milione di tonnellate di anidride carbonica all’anno come mezzo per combattere il cambiamento climatico. Quella annunciata è solo la prima tranche di 3,5 miliardi di dollari di finanziamenti stanziati ai sensi della Bipartisan Infrastructure Law per creare almeno quattro hub regionali.

Strategie globali per la cattura della CO2

Per parte sua, l’Unione Europea sostiene anch’essa lo sviluppo di progetti riguardanti tecnologie per la carbon capture. La Commissione UE ha raddoppiato i finanziamenti per il terzo bando su larga scala del fondo, pubblicato nel novembre 2022, portandoli a circa 3 miliardi di euro. Il bando si è chiuso lo scorso marzo e in quest’ultimo trimestre prevede di concedere sovvenzioni. Sempre a marzo è stato lanciato il terzo bando per progetti su piccola scala e dispone di un budget di 100 milioni di euro. È aperto a qualsiasi paese dell’UE, Islanda e Norvegia e possono presentare domanda progetti che includono la tecnologia CCS (carbon capture and storage) e CCU (carbon capture and utilization).

Anche la Cina, per distacco il più grande emettitore di anidride carbonica al mondo, sta mostrando interesse sull’argomento. Vedremo che succederà.

La crescita delle tecnologie CCS, se da un lato potrebbe essere uno strumento di aiuto a ridurre le emissioni in atmosfera, dall’altro mette in allarme gli attivisti ambientali, che paventano un uso dell’industria oil and gas per giustificare l’uso continuato dei combustibili fossili.

Non è un timore campato per aria: basti dire che l’ad della Occidental Petroleum, una delle più grandi compagnie petrolifere statunitensi, presentando il proprio maxi progetto da un miliardo di dollari per la carbon capture mediante cattura diretta dall’aria (vedremo tra poco di che si tratta) ha affermato: “crediamo che la nostra tecnologia di acquisizione diretta sarà la tecnologia che aiuterà a preservare il nostro settore nel tempo”.

Tecnologie per la carbon capture: spazio alle startup e alle idee innovative

Veniamo ora alle tecnologie per la carbon capture. La ricerca è al lavoro per sviluppare le soluzioni più efficaci per ridurre le emissioni di CO2: a tal proposito va segnalato quanto sta portando avanti la startup svizzera Climeworks che ha sviluppato una tecnologia per rimuovere l’anidride carbonica tramite la cattura diretta dell’aria. Consiste nell’estrarre il diossido di carbonio direttamente dall’aria, per poi stoccarla in modo sicuro e permanente.

Tecnologie per la carbon capture: spazio alle startup e alle idee innovative

Già nel 2017 ha creato il suo primo impianto industriale e nel 2021 ha inaugurato, in Islanda, “il più grande impianto di rimozione su larga scala al mondo”. Questo impianto DAC, il primo in scala commerciale è un impianto di carbon capture e stoccaggio nel sottosuolo. La sua capacità di cattura può raggiungere fino a 4mila tonnellate di CO2 l’anno. Non si è fermata qui: l’anno scorso ha annunciato l’inaugurazione del più grande impianto di cattura e stoccaggio diretto dell’aria di Climeworks. Denominato Mammoth, questo impianto è progettato con una capacità nominale di cattura di CO₂ di 36mila tonnellate all’anno a regime. L’intenzione è però di raggiungere la capacità “gigaton” entro il 2050.

Si basa sull’aria, ma sfruttando il principio del raffreddamento dell’umidità, catturando anidride carbonica in condizioni di bassa umidità e rilasciandola in condizioni di alta umidità, la tecnica messa a punto da un team di ricerca della Northwestern University. La tecnica, chiamata “moisture-swing”, in sintesi, cattura l’anidride carbonica incorporando metodologie cinetiche innovative e svariati ioni, consentendo la rimozione del carbonio praticamente ovunque, con un basso dispendio energetico.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science and Technology, descrive nei particolari la soluzione, basata sulla “promettente” modalità di oscillazione dell’umidità per la cattura diretta dell’anidride carbonica nell’aria, studiando l’uso di diversi nuovi anioni – ortosilicato, borato, pirofosfato, tripolifosfato e fosfato dibasico – che, una volta introdotti nelle resine a scambio ionico, consentono il ciclo cattura di CO2 in condizioni secche e il suo rilascio in condizioni umide.

Dall’acqua ai microbi: le altre idee per la cattura della CO2

Dall’aria all’acqua, va segnalata la startup californiana Captura, che ha sviluppato una tecnologia di carbon capture dall’acqua dell’oceano e per questo lo scorso anno ha ricevuto 1 milione di dollari dal concorso XPRIZE Carbon Removal. Fondata all’interno della California Institute of Technology (Caltech) da due docenti della stessa (Harry Atwater e Chengxiang Xiang, docenti di fisica applicata e scienza dei materiali) Captura ha progettato una soluzione che rimuove la CO2 dall’oceano e sfrutta la sua capacità di risanare il clima, un processo noto come Direct Ocean Capture. Per riuscirci si basa unicamente su acqua di mare ed elettricità prodotta da fonti rinnovabili. “Rimuove l’anidride carbonica direttamente dall’acqua di mare per essere immagazzinata o riutilizzata in modo permanente”, segnala la stessa startup.

C’è anche chi intende sfruttare microbi per catturare l’anidride carbonica, basandosi sul fatto che, per miliardi di anni, alcuni microbi hanno catturato attivamente la CO2 utilizzando enzimi altamente efficienti. Gli scienziati hanno ora isolato uno di questi enzimi. Quando l’enzima è stato ramificato elettronicamente su un elettrodo, hanno osservato la conversione del diossido di carbonio in formiato con perfetta efficienza. Autori di questa promettente, seppure embrionale soluzione, sono alcuni scienziati del Max Planck Institute di microbiologia marina in collaborazione con altri dell’Università di Ginevra. Essi hanno messo a punto un processo di conversione della CO2 mediante una reazione di particolari enzimi che catturano l’anidride carbonica. Nel caso specifico, la reazione, basata su elettrodi, dell’enzima estratto dal microbo, legato a un elettrodo di grafite, può essere impiegato per convertire l’anidride carbonica in formiato. Quest’ultima molecola può essere utilizzata per fare energy storage.

Tecnologie per la carbon capture in Italia

Nella messa a punto di tecnologie per la carbon capture, in Italia è attiva la startup italiana Energy Dome. Essa sfrutta la CO2 in formato fluido per immagazzinare energia mediante un processo termodinamico chiuso “poiché è uno dei pochi gas che può essere condensato e immagazzinato come liquido sotto pressione a temperatura ambiente”. Ciò consente lo stoccaggio di energia ad alta densità senza la necessità di raggiungere temperature criogeniche estreme.

L’innovativa tecnologia italiana per lo stoccaggio di energia Energy Dome
Img by Energy Dome

Energy Dome immagazzina energia comprimendo ed espandendo l’anidride carbonica contenuta in grandi strutture: conta su un progetto dimostrativo da 2,5 / 4 MW in Sardegna.

La sua tecnologia proprietaria si basa su una trasformazione termodinamica chiusa. Manipola la CO2 quando si trova nella fase gassosa e liquida. Ogni volta che c’è bisogno di energia, la CO2 si riscalda, evapora e si espande, facendo girare una turbina e generando elettricità, senza alcuna emissione di CO2 nell’atmosfera.

Intanto ha già vinto il prestigioso concorso Bloomberg New Energy Finance (BNEF) Pioneers 2022, la prima azienda italiana ad aver ottenuto il riconoscimento. Per il futuro si sta sviluppando anche a livello internazionale: ha ottenuto un importante finanziamento per il primo progetto negli Stati Uniti, guidato da Alliant Energy e altre due delle più grandi società di servizi pubblici del Wisconsin che dovrebbe partire nel 2026.

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