Transizione energetica italiana: cosa serve per essere competitivi

La transizione energetica italiana vanta ottimi numeri e molte aziende impegnate, come ha messo in evidenza l’ultimo KEY, occasione in cui i principali protagonisti del comparto hanno messo a fuoco potenzialità e criticità ancora presenti e correttivi necessari

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Transizione energetica in Italia: cosa serve per essere competitivi

La transizione energetica in Italia va sostenuta, ma non è una chimera. Lo ricorda Althesys: in Italia si contano 980 aziende nella filiera nazionale delle tecnologie e dei componenti, con un fatturato di 32 miliardi e dove lavorano 86mila addetti. Serve però attuare determinati passaggi, fondamentali per raggiungere gli obiettivi PNIEC al 2030 e per dare certezze e stabilità a un comparto che può crescere ulteriormente.

La filiera della transizione energetica in Italia

Durante i tre giorni di KEY – The Energy Transition Expo, si sono messi in evidenza diversi elementi utili sul tema. A partire dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ai diversi attori e rappresentanti di vari settori.

Transizione energetica italiana: la parola al Ministro

Il titolare del MASE, ha ricordato che dal momento del suo insediamento al MASE (più di due anni FA) «siamo giunti quasi a metà strada. Ricordo il Decreto FER 2 e FER X, con le CER siamo alle modifiche», ha evidenziato, preannunciando correzioni al provvedimento di diffusione delle CER, con l’incremento del numero dei comuni che possano accedere al contributo previsto dal PNRR per le comunità energetiche e precisazioni sulla platea degli interessati. Nella stessa occasione, ha annunciato una proroga al 30 novembre del termine per fare domanda e l’ampliamento della platea dei beneficiari.

Pichetto Fratin ha toccato altri temi, inerenti la transizione energetica italiana, a partire dalla necessità di razionalizzazione di un sistema, anche per quanto riguarda le autorizzazioni. «Serve responsabilità, da parte di tutti, anche dal sottoscritto, ma anche dagli ambiti regionali che devono dare indicazioni sulle aree idonee». Ha segnalato che all’interno del DL Bollette manderà avanti una norma per intervenire sul blocco delle reti dovute a prenotazioni che non determinano l’installazione. «Così come all’inizio del mio percorso era di portare avanti norme e decreti, facendo progredire il percorso del PNIEC, ora la sfida è di creare una procedura di permitting ordinata».

Le opinioni delle associazioni: potenzialità e limiti

L’occasione della fiera della transizione energetica ha permesso di fare un bilancio su ciò che è stato fatto e ciò che c’è da fare.

Gianni Vittorio Armani, presidente di Elettricità Futura, principale associazione della filiera industriale nazionale dell’energia elettrica, ha evidenziato che oggi

«si contano due milioni di prosumer che hanno investito in tecnologie rinnovabili, un settore sano e che ha bisogno di svilupparsi, ma che già crea valore e che rende competitivo il nostro Paese. La velocità con cui siamo in grado di installare impianti rinnovabili ci rende potenzialmente più competitivi e di consumare meno gas. Nel 2008 consumavamo 80 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne consumiamo 60 miliardi, con un sensibile risparmio e una maggiore indipendenza energetica».

Più rinnovabili significa maggiore competizione: «la Spagna installa più di noi, pur essendo un mercato più piccolo, ha abbassato più velocemente i prezzi e ha reso più competitive le imprese. Questo si traduce in una maggiore capacità di gestire i costi».

L’Italia sconta costi installativi a impianto completo «che sono superiori del 30% a Paesi come la Spagna e addirittura al 50% superiori ad altri contesti», ha affermato lo stesso Armani. Da qui la richiesta di snellire la burocrazia e dare certezza di stabilità al settore della transizione energetica italiana, nella capacità di investire è fondamentale per ridurre il costo del kWh. Perché se è vero che il costo marginale delle fonti rinnovabili, una volta realizzato l’impianto, è bassissimo, ma per la loro realizzazione si richiedono investimenti enormi. Il settore investe 20 miliardi di euro l’anno, una cifra gigantesca, nessun altro settore in Italia investe così tanto. Questo richiede efficienza e certezza per ridurre il costo di capitale. Se consideriamo, per esempio, ciò che è successo con le Aree idonee e le decisioni prese da alcune regioni, è esattamente ciò che non dobbiamo fare.

Infine, ha trattato il tema delle concessioni: si contano più di 300 GW di richieste di connessione, «un investimento intellettuale enorme», cui fanno da contrasto i tempi lunghi di allacciamento.

Ridurre i tempi autorizzativi, snellendo quelli del repowering

Anche Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento FREE, ha ricordato il tema della congestione della rete. Ha sottolineato come il percorso verso gli obiettivi del 2030 «è condiviso da istituzioni, associazioni, imprese. Il problema è che, a fronte di un forte dinamismo espresso dal mercato, si richiedono istituzioni in grado di stare al passo con la velocità dei cambiamenti in corso». Ha ricordato che l’Italia è stata un Paese capace, attraverso il Conto Energia, di passare dall’essere un Paese che non produceva fotovoltaico a divenire uno dei Paesi a contare su una delle più elevate capacità di installato al mondo, con più di 10 GW in soli tre anni.

Simone Togni, presidente di ANEV, ha toccato un tema critico. «Per realizzare impianti si devono considerare processi autorizzativi di 5/6 anni sia che si tratti di impianti nuovi sia che si tratti di repowering. Serve ridurre di tre volte almeno i tempi perché ci si allinei non alle medie UE, ma alle indicazioni delle normative europee che dobbiamo riuscire a raggiungere, a partire dalla semplificazione di opere che non richiedono vincoli o complessità particolari e, ancor più, dove già vi siano infrastrutture».

Se si pensa al repowering di un impianto eolico, esso va a ridurre in maniera significativa il numero di aerogeneratori, aumentando però la produzione e i benefici, riducendo l’impatto paesaggistico.

Le potenzialità aperte, dal fotovoltaico galleggiante al solare termico

A KEY è stata l’occasione per presentare importanti documenti sullo stato dell’arte di alcune voci importanti – potenziali o già reali – della transizione energetica nazionale. Per quanto riguarda un ambito tecnologico ancora embrionale, il fotovoltaico galleggiante, AERO ha presentato un position paper dedicato a illustrare potenzialità del comparto, evidenziando anche i nodi da sciogliere. Nell’occasione, il presidente dell’Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, Fulvio Mamone Capria, ha ricordato che

«l’Italia ha ora l’opportunità di affermarsi come leader mondiale nell’implementazione del fotovoltaico galleggiante, creando un esempio replicabile a livello internazionale e rafforzando la propria competitività sul mercato. In questo modo, il nostro Paese potrà dare un contributo concreto alla transizione energetica globale, consolidando il proprio ruolo nella lotta ai cambiamenti climatici e generando significativi benefici ambientali, sociali ed economici».

Il solare termico appartiene, invece, alle soluzioni consolidate, ma che hanno bisogno di crescere. Da qui lo stimolo offerto da Solterm Italia sotto forma del position paper dedicato, che può offrire un importante contributo alla transizione energetica italiana. Lo ricorda Zeno Benciolini, quale presidente dell’associazione italiana di settore:

«quella del solare termico, inoltre, è un’industria italiana ed europea, basata su materiali riciclabili e largamente diffusi, non su risorse concentrate in poche e limitate aree geografiche e ha ormai una tradizione radicata in un Paese che proprio nel sole ha una sua innegabile ricchezza». Investire nel solare termico, «significa investire nel futuro della nostra economia e della nostra società. È tempo allora di agire, promuovendo politiche che riconoscano e integrino il potenziale di questa tecnologia essenziale».

Cosa serve per il salto di qualità, per idrogeno…

Nel panorama della transizione energetica italiana, l’idrogeno verde è ancora atteso. Malgrado i 54 progetti finanziati di hydrogen valley, malgrado i progetti approvati dal valore superiore agli 800 milioni, c’è ancora molto da fare, non solo nel nostro Paese. Alberto Dossi, in qualità di presidente di H2IT, non ha mancato di ribadire che l’idrogeno si propone come vettore energetico «già nel 2015 alla COP 21 di Parigi. Ora, dieci anni dopo, tra burocrazia, tempi di attuazione e detrattori si è perso molto tempo, ma l’idrogeno continua ad avere dei punti di forza e cito i più rilevanti: è adatto alla decarbonizzazione del pianeta perché non emette C02 né altri elementi inquinanti, è un vettore energetico versatile ed è inoltre idoneo per la mobilità pesante, leggera oltre che per le grandi industrie “hard to abate”».

Per contro l’idrogeno rinnovabile, per essere prodotto, richiede molta energia e al momento «non è competitivo dal punto di vista dei costi. Inoltre l’idrogeno da fonte rinnovabile, al momento, non ha un mercato», perché il Pnrr ha finanziato la parte di investimenti, ma manca un incentivo sull’acquisto dell’energia, «che avverrà con la pubblicazione del decreto Opex che sarà indispensabile per rendere il costo dell’idrogeno competitivo rispetto ai combustibili fossili», ha evidenziato Dossi, chiarendo però che la produzione di idrogeno «non è in fase sperimentale: esiste da oltre un secolo. Sarà una realtà concreta, con un vero mercato, quando avrà trovato un suo vantaggio economico».

… ed emobility

Sull’emobility è intervenuto Fabio Pressi, quale presidente di Motus-E. «L’Italia ha superato la soglia del 5% di auto elettriche, ma spesso si dice che l’infrastruttura di ricarica è insufficiente. Non è così: al 31 dicembre 2024 risultano installati in Italia 64.391 punti di ricarica a uso pubblico, più che raddoppiati in due anni (+713 rispetto al 2023)».

Come ha messo in evidenza Motus-E, la rete italiana ha già raggiunto il 75-80% di compliance rispetto agli ultimi obiettivi fissati dall’Europa e si attesta davanti a Francia, Germania e Regno Unito nel rapporto tra punti di ricarica e veicoli elettrici circolanti e nel rapporto tra punti di ricarica e lunghezza complessiva della rete stradale

«Il problema, quindi, non sono le infrastrutture insufficienti, ma le incertezze per chi vuole acquistare un’auto elettrica. Occorre spiegare quali sono le tecnologie esistenti. il tema dell’emobility è un tema di competitività, come sottolineato anche nel rapporto Draghi», che ha invitato l’Europa a scrivere una grande piano per l’auto elettrica concentrandosi su batterie, colonnine e materie prime.

«Il PNRR non è un fallimento, anzi è uno stimolo: a KEY si è visto come l’evoluzione delle tecnologie di ricarica deve viaggiare insieme all’automotive. Le indicazioni UE recenti prevedono cambiamenti, alcuni positivi, altri negativi, ma creano ancora incertezza nell’industria». Pressi ha segnalato un lavoro realizzato dal proprio Osservatorio, condotto insieme a CNR e dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, rivolto a comprendere l’andamento dell’occupazione nei prossimi anni. «Nell’intervista a 500 aziende della sola filiera auto, solo il 20% di esse investirà nell’elettrico nei prossimi tre anni, però paradossalmente questo 20% è l’unico segmento dove si noterà un incremento occupazionale, nella ricerca. Serve che le istituzioni accompagnino questo settore».

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